Sono anni che il personale della PCM viene descritto, dalla stampa e talvolta dalle stesse centrali sindacali, come strapagato, privilegiato e pure assenteista.
Mai difeso adeguatamente da un’amministrazione troppo genuflessa e preoccupata solo di se stessa.
Personale, quindi, da esporre al pubblico ludibrio, mentre i veri problemi restano nell’ombra.
Come quello di una amministrazione resa elefantiaca dall’esigenza, politica, di produrre poltrone, assecondata da una dirigenza che da tale proliferazione ne ha tratto vantaggio (aggiungendoci del suo) creando ulteriori e superflui posti di funzione.
Ne sono stati esempi emblematici il dl 181 del 2006 (decreto “spacchettamento”) del governo Prodi e l’istituzione delle sedi periferiche dei ministeri a Monza del governo Berlusconi.
In mezzo, tra l’incudine e il martello, il personale delle qualifiche (quelli che uno storico capo del personale definiva – con preveggenza – “i piccoletti”): retribuzioni sicuramente non basse ma nemmeno le migliori del panorama pubblico e sicuramente molto al di sotto di quanto sbandierato periodicamente da una certa stampa che si rende capace, non è chiaro se per ignoranza o malafede, di imprese impossibili. Come farci lievitare, una volta, le ferie a oltre 52 giorni e, l’altra, le retribuzioni ad una media di oltre 114.000 euro.
Quante volte abbiamo “gridato al vento” che molte strutture, anche ammesso che fossero necessarie, erano esageratamente sovradimensionate.
Dov’era chi avrebbe dovuto controllare? Chi avrebbe potuto impedire un impegno di risorse superiore al necessario, perché non lo ha fatto?
Forse la commistione tra controllori e controllati è andata oltre la decenza, arrivando fino alla coincidenza dei ruoli (e, se “lupo non azzanna lupo”, figuriamoci se si azzanna da solo).
La “prassi”, invece, è quella di scaricare sul dipendente (capro espiatorio designato) responsabilità non sue, facendogli pagare il conto degli sperperi altrui.
Proprio domenica su “la Repubblica” viene riportata l’incitazione, da parte di un cittadino, al Presidente del Consiglio a mettere “in cassa integrazione a 1000 euro mensili la gran parte dei 4600 dipendenti di Palazzo Chigi”. Peccato che il connazionale in questione non è stato correttamente informato sui dipendenti della PCM che in realtà sono meno della metà di quanto egli ritiene.
Eppure, quei pochi rimasti sono l’unica vera garanzia per il cittadino. Si può ben facilmente immaginare cosa potrebbe succedere se non ci fosse tale personale “stabile”, che non ha alcun vincolo di “soggezione”, che è più difficilmente “condizionabile” da parte del politico di turno e che rappresenta un freno ad ogni tentazione di agire con totale libertà in spregio di leggi e regolamenti.
Comunque, per la cronaca (v. dati conto annuale), il reddito complessivo lordo medio del personale delle qualifiche è intorno ai 40.000 euro (media – ben lontana dai 114.000 € – che sale a 53.000 € comprendendo i dirigenti) e il tasso di assenteismo, ferie comprese, è tra i migliori dei comparti pubblici, di diversi punti inferiore alla media generale (con buona pace del simpatico giornalista de “La Stampa”) ed anche sostanzialmente stabile negli anni.
Infine, poiché sembra non ci sia modo di aprire un confronto ordinario sulla spending review in PCM, visto che le offerte e richieste di incontro vengono sistematicamente ignorate, usiamo ogni mezzo per far pervenire suggerimenti.
Uno, ulteriore, riguarda le sedi dei ministeri a Monza: invitiamo il Presidente del Consiglio a risparmiare sulle spese legali.
La PCM ha presentato ricorso contro il giudizio di primo grado del tribunale di Roma: questo Governo ha, forse, intenzione di mantenere le suddette sedi periferiche? In caso contrario, perché perseverare in un contenzioso inutile?
Ovviamente la nostra difesa delle prerogative sindacali è stata strumentale all’azione di contrasto all’arroganza politica e allo spreco di risorse pubbliche. Pertanto, se la PCM evitasse di insistere sulla penosa questione, risparmiando a tutti un ulteriore sperpero di pubblico denaro, noi rinunceremmo al rimborso (deciso dal giudice di primo grado) delle spese legali.
Forse anche questo ennesimo “suggerimento” resterà inascoltato, ma il tempo è galantuomo e noi non ci scoraggeremo.
Roma 1 febbraio 2012.
S.I.PRE.

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