Estensione alla pubblica amministrazione delle regole sui licenziamenti (il nuovo articolo 18) del Jobs Act
In caso di licenziamento intimato al pubblico impiegato in violazione di norme imperative, quali l’art. 55-bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, si applica la tutela reintegratoria di cui all’art. 18 st.lav., come modificato dalla l. n. 92 del 2012, trattandosi di nullità prevista dalla legge. È quanto deciso dalla Sezione Lavoro della Corte Suprema di Cassazione nella sentenza n. 24157 del 2015 (Presidente: P. Stile; Relatore: A. Manna).
Quindi, la riforma dell’articolo 18 si applicherebbe, in automatico, anche al pubblico impiego “contrattualizzato”, cioè a tutti i dipendenti statali e locali tranne professori, magistrati e militari: non vi sono infatti distinzioni tra lavoro privato e pubblico in base a quanto previsto dal Testo unico del pubblico impiego.
A dirlo è la Cassazione in una sentenza dello scorso 17giugno depositata il 25 novembre 2015 che, certamente, segnerà in futuro le vicende del personale in forza presso le pubbliche amministrazioni. La sentenza contraddice l’interpretazione del governo che ha sempre sostenuto, invece, che il pubblico impiego è fuori dalla riforma dell’articolo 18 del jobs act. Ma secondo la Cassazione, il D.lgs. 165/2001, il testo unico del pubblico impiego porta a ritenere che lo Statuto dei lavoratori, con le sue successive modificazioni e integrazioni, si applica non solo al comparto privato, ma anche ai lavoratori assunti presso le pubbliche amministrazioni a prescindere dal numero dei dipendenti. Pertanto è innegabile che il nuovo testo dell’articolo 18 riguardi anche gli impiegati civili dello stato. L’estensione, insomma, è automatica, e si porterebbe con sé anche il meccanismo del contratto a tutele crescenti, introdotto nel 2015, di cui la Cassazione non parla perché chiamata a pronunciarsi su una vicenda di tre anni prima.
Ricordiamo, infatti, che anche il decreto attuativo del Jobs Act ha modificato l’articolo 18, prevedendo le tutele crescenti “per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri” assunti a tempo indeterminato dopo la sua entrata in vigore, anche in caso di conversione di contratto a termine.
La sentenza chiude decisamente la porta alle teorie secondo le quali, invece, la riforma dell’articolo 18 non interesserebbe il lavoro pubblico. Non occorre, dunque, alcuna norma di armonizzazione del lavoro pubblico rispetto a quello privato, per estendere gli effetti della riforma dell’articolo 18 al primo.
Questo significherebbe che la tutela risarcitoria (ossia l’indennizzo nei favori del dipendente) resta l’unica via per il caso di licenziamento illegittimo, salvo i pochi (pochissimi) casi di reintegro sul lavoro (come nell’ipotesi di manifesta infondatezza dei fatti alla base del licenziamento). La vicenda oggetto del contenzioso si riferisce a fatti durante i quali era ancora in vigore la legge Fornero, ma l’applicazione del principio farà sì che esso venga oggi esteso anche alla profonda riforma attuata con il Jobs Act, che ha ridotto all’osso i casi di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato, senza più distinzioni in base alla dimensione dell’azienda.
Ma significherebbe anche la immediata fine dei Co.co.co e degli altri contratti speciali che ancora circolano nelle pubbliche amministrazioni.