Tra le brutte notizie che hanno purtroppo caratterizzato l’estate che si sta concludendo, spicca sicuramente l’orribile vicenda di Rimini, dove quattro belve umane (di cui tre minori) hanno violentato ripetutamente una giovane turista polacca, massacrato un suo amico e compiuto infine un ulteriore stupro in danno di un trans sudamericano.

Tutto l’orrore della vicenda si evince dai particolari emersi dalla pubblicazione dei verbali delle dichiarazioni delle vittime, sui quali ovviamente non intendiamo soffermarci: quello che lascia senza parole è la gratuità di tanta violenza, il sadismo dei carnefici, la loro totale mancanza di un pur minimo segno di empatia, di umana pietà nei confronti di tre vittime scelte a caso, senza alcun motivo specifico.

Per esperienze professionali trascorse, ci siamo confrontati con gli autori dei crimini più diversi: omicidi, stragi, violenze di ogni tipo; eppure, episodi come quello di Rimini (che non è stato il primo nel suo genere, e temiamo non sarà l’ultimo) lasciano interdetti, perché in essi viene fuori tutto il peggio dell’essere umano, un qualcosa che non alberga neanche nelle belve più feroci, mentre la considerazione che ben tre dei quattro autori siano minorenni pone degli interrogativi ulteriori (peraltro il quarto è appena ventenne).

Al riguardo, prendiamo in considerazione il codice penale minorile italiano, la cui riforma operata nel 1988 per mezzo del dpr n. 448 ha addirittura anticipato i principi internazionali statuiti poi dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo, firmata a New York nel 1989.

La legge di riforma ha improntato l’intervento giudiziario nei confronti dei minori (14-18 anni) sul modello conciliativo-riparativo: un sistema che, pur non volendo alleviare la sanzione, tende alla ricerca di un equilibrio all’interno della stessa, preoccupandosi della forma della pena senza minarne la certezza.

Inoltre, il nostro sistema penale minorile tiene conto dell’età dei soggetti, del loro stadio evolutivo, della personalità e del livello di maturazione raggiunto, adoperandosi in direzione della riduzione degli interventi giudiziari, in particolare di quelli di natura coercitiva e restrittiva, in modo che il danno apportato alla personalità del minorenne ed alla sua opportunità di reinserimento sociale sia sempre inferiore al vantaggio conseguito dalla giustizia.

Il processo penale minorile offre ampie facoltà discrezionali agli organi giudiziari e molteplici strumenti al Giudice ed al Pubblico Ministero, che in ogni caso ed in ogni stato del procedimento, anche senza particolari formalità, debbono accertare la capacità processuale del soggetto ed anche quantificarla, così come il grado di responsabilità.

In tal senso, il Tribunale valuta caso per caso l’opportunità se continuare il procedimento o interromperlo, in vista degli scopi educativi: normalmente la pena detentiva è prevista solo nei casi più gravi in via residuale, preferendo forme di esecuzione penale extramurarie.

Questo modello di giustizia penale finalizza il suo operato alla responsabilizzazione del reo e se possibile anche alla riconciliazione con la persona offesa: l’articolo 28 del citato dpr 448/88 prevede che il giudice possa impartire prescrizioni dirette a riparare le conseguenze del reato e a promuovere la conciliazione del minorenne con la persona offesa dal reato

Lo stesso articolo 28 consente la sospensione del processo e la messa alla prova per un anno (o tre nel caso di gravi reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore a 25 anni), al fine di valutare, al termine del periodo di prova, l’evoluzione della personalità dell’imputato.

Tale previsione normativa si pone nella stessa scia del sistema riparativo-conciliativo, promuovendo l’assunzione di responsabilità da parte del reo, senza ricorrere necessariamente alla pena detentiva.

Su questo punto, pur nel rispetto dovuto alla normativa vigente, ci sentiamo però di dissentire fortemente: episodi come quello di Rimini non devono evocare facili vendette in nome di un cieco giustizialismo, ma non è accettabile dal nostro punto di vista che gli autori di crimini così efferati, ancorché minorenni, possano eventualmente evitare una pena detentiva proporzionata alla gravità della loro condotta e, soprattutto, agli effetti devastanti e definitivi delle conseguenze della stessa sulle vittime.

Crediamo infatti che il senso di giustizia, che si estrinseca nella proporzionalità tra il danno arrecato alle vittime del reato e la pena comminata agli autori dello stesso, sia una precondizione irrinunciabile: in questo caso, non stiamo trattando di un danno patrimoniale, economico, e neanche di lesioni fisiche, anche gravi, ma reversibili: la natura della violenza sessuale, perpetrata con sadismo e disprezzo assoluto dell’altrui dignità, non può trovare la sua compensazione ripartiva all’interno di percorsi alternativi al carcere, se non dopo molti anni, e sempre in presenza di determinati requisiti soggettivi da verificare caso per caso.

Troppo grande è il danno arrecato alla vittima, troppo cieca e brutale è la condotta che porta a devastare per sempre (e sottolineiamo per sempre, perché da certe ferite non si guarirà mai più), perché non si preveda una pena detentiva che limiti la libertà personale anche nel caso dei minori, perché non crediamo che un quindicenne non sia in grado di cogliere la gravità di una siffatta condotta.

Siamo stanchi delle cervellotiche elucubrazioni di tanti intellettuali da salotto, capaci di grandi dichiarazioni libertarie e garantiste quando cetre realtà non li toccano, salvo poi trasformarsi nei peggiori forcaioli quando vengono travolti in prima persona da vicende drammatiche come questa.

La giustizia minorile si occupa, oltre che di circa 500 ragazzi detenuti, di oltre 46mila minori in esecuzione penale esterna, come di seguito indicato (dati al 31 agosto 2017):

AFFIDAMENTO IN PROVA AL SERVIZIO SOCIALE                   13.974

SEMILIBERTA’                                                                         798

DETENZIONE DOMICILIARE                                                 10.372

MESSA ALLA PROVA                                                            10.111

LAVORO DI PUBBLICA UTILITA’                                             7.139

LIBERTA’ VIGILATA                                                               3.797

LIBERTA’ CONTROLLATA                                                          164

SEMIDETENZIONE                                                                      6

TOTALE GENERALE                                                         46.361

 

E’ di tutta evidenza che a fronte di una utenza così massiccia, occorra potenziare in modo significativo le dotazioni organiche degli operatori che seguono questi giovani: con quale ipocrita speranza si può parlare di giustizia ripartiva, di riconciliazione con le vittime del reato, di rieducazione e  di integrazione sociale se questi ragazzi sono abbandonati a se stessi, senza controlli, senza qualcuno che detti loro le regole, che le faccia rispettare e che li punisca quando questo non accade?

La parte più difficile, più impegnativa, il c.d. “lavoro sporco”, non si fa declamando principi e scrivendo le leggi: quella è la precondizione, necessaria ma non sufficiente, perché poi occorre andare sul campo, applicare quelle nome, con competenza, professionalità e coraggio.

Oggi il personale a ciò preposto è largamente insufficiente, opera in condizioni di fortissimo disagio, mettendo a rischio non solo la propria incolumità (cosa che è comunque disposto a fare), ma l’affermazione stessa di quei principi e di quelle leggi che i nostri legislatori sono stati bravissimi a generare, ma che la politica non è in grado di implementare; in questo modo sono fortemente in pericolo il futuro di decine di migliaia di giovani in difficoltà e delle loro famiglie, nonché la sicurezza stessa dell’intero Paese.

Il Coordinatore Nazionale Funzioni Centrali
Paola Saraceni
347.0662930