La politica del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria iniziata con i governi di sinistra ed accolta anche dall’ attuale governo, come ben noto agli addetti ai lavori è caratterizzata dal sempre più progressivo alleggerimento del regime repressivo nei confronti dei detenuti, in particolar modo per le categorie ritenute di minor pericolosità sociale in rapporto al tipo di reato commesso o alla durata presunta o certa della pena da scontare.

Se dal punto di vista etico sociale tale alleggerimento è sicuramente apprezzabile, anzi doveroso, in uno stato moderno e giusto, tuttavia la progressiva riduzione degli organici dell’ amministrazione penitenziaria, sia per le politiche più recenti che hanno favorito l’uscita anticipata dal mondo del lavoro, che per il mancato rimpiazzo del personale in quiescenza, che per la riduzione delle piante organiche per la spending review, ha favorito l’innescarsi di pericolosi meccanismi che stanno inasprendo i rapporti tra i detenuti ed il personale di polizia penitenziaria, con manifestazioni “violente” da parte dei detenuti, incremento vertiginoso di procedimenti disciplinari (ormai unica arma di cui può disporre la polizia penitenziaria), che sembrano riportarci indietro di diversi decenni.

La politica delle “sezioni aperte” sta in diverse situazione creando una situazione di predominio della popolazione detenuta rispetto alla Polizia Penitenziaria. In diverse realtà si ha la sensazione che nell’area intra-moenia siano i detenuti ad avere la meglio. Ciò in quanto il rapporto detenuti/agenti è in netto svantaggio per i tutori dell’ordine e della sicurezza, che sempre più spesso, per la carenza dell’organico si trovano da soli a gestire gruppi di oltre 30 detenuti, liberi di circolare all’interno delle sezioni e di disattendere alle regole dell’Istituto. Come dice il proverbio “l’unione fa la forza!” e questo è ben chiaro a molti dei detenuti ammessi al regime aperto.

La carenza di personale dell’area educativa, le scarse disponibilità di fondi per la mercedi detenuti (frutto di uno scriteriato ed incontrollato impiego della manodopera detenuti della precedente gestione) riducono notevolmente la possibilità di esecuzione delle indispensabili attività trattamentali, unico contraltare alla maggiore libertà di movimento dei detenuti nelle sezioni.

In parole povere il regime aperto funziona laddove il detenuto resti impegnato in attività lavorative, formative ed educative. Se viceversa non si riesce ad assicurare tali servizi, si consente di oziare in gruppo. Ed ecco che l’iniziativa pregevole di alleggerimento della detenzione si trasforma in un boomerang per l’Amministrazione. Ecco la ragione per la quale comincia a verificarsi persino la preoccupazione a far accedere, per attività di servizio,  il personale civile dell’amministrazione, all’interno delle sezioni a regime aperto o

dell’ incremento quasi esponenziale delle evasioni o i tentativi di evasione, pregiudicando il compito istituzionale principale dell’ Amministrazione che è la custodia di coloro che si sono macchiati di un reato.

Ed a poco serve incrementare i sistemi di sicurezza attivi come gli impianti di videosorveglianza se a controllare centinaia di telecamere viene posta una sola unità di polizia penitenziaria, peraltro è risaputo che la prolungata visione di immagini quasi-statiche dopo poco tempo determina un calo di attenzione tale da non riuscire comunque a prevenire eventi criminosi.

In una costante situazione di sovraffollamento è controproducente incrementare il numero dei reati penali, occorrono invece maggiori risorse economiche, maggiori risorse umane ed attenzione a quel “benessere organizzativo” tanto di moda ed abusato nei discorsi ufficiali, ma quasi mai posto in atto.

Cordialità

Il Coordinatore Nazionale

Paola Saraceni

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Sovraffollamento Carceri