Esposto trasmesso al Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione – A.N.AC. Raffaele Cantone e al Procuratore dott.ssa Donata Cabras
ESPOSTO
OGGETTO: D.M. 12/1/2017 n.15 “Adeguamento delle Soprintendenze speciali agli standard internazionali in materia di musei e luoghi della cultura ai sensi dell’art. 1, comma 432 della legge 11 dicembre 2016 n.232 e dell’art.1 comma 327 della legge 28 dicembre 2015 n.208”, sottoposto al giudizio di legittimità di codesto spett.le Ufficio con nota ministeriale del 13 gennaio 2017 e DDC del 27.05.2016 e DDC del 02.08.2016 in contrasto con art.97 e succ. in materia di concorso pubblico.
Premesso che:
- la legge n. 232/2016, all’art. 1, comma 432, ha previsto che “Ai fini della razionalizzazione della spesa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dell’efficientamento delle modalità di bigliettazione degli istituti e luoghi della cultura di rilevante interesse nazionale, le Soprintendenze speciali di cui all’articolo 30, comma 2,3 lettera a), del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, si adeguano, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, agli standard internazionali in materia di musei e luoghi della cultura, di cui all’articolo 14 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106. Entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge sono apportate, con le modalità di cui all’articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, le necessarie modificazioni al decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo 23 gennaio 2016, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 59 dell’11 marzo 2016, nei limiti delle dotazioni organiche del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di cui alle tabelle A e B allegate al citato regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 171 del 2014”.
– Il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, con il D.M. 12/1/2017 n.15 “Adeguamento delle Soprintendenze speciali agli standard internazionali in materia di musei e luoghi della cultura ai sensi dell’art. 1, comma 432 della legge 11 dicembre 2016 n.232 e dell’art.1 comma 327 della legge 28 dicembre 2015 n. 208”, all’art 1, integrando l’art. 1 del d. m. 23 gennaio 2016, n. 44, recante “Riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ai sensi dell’articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208”, ha istituito il “Parco archeologico del Colosseo” di rilevante interesse nazionale, dotato dell’autonomia speciale di cui all’art. 30, commi 2 e 3, del d.p.c.m. n. 171/2014, ufficio dirigenziale di livello generale periferico del Ministero, e modificato conseguentemente la sfera di competenza della Soprintendenza per il Colosseo e l’area archeologica centrale di Roma (anch’essa ufficio dirigenziale di livello generale), a cui viene sottratto il complesso del nuovo Parco archeologico, e la sua denominazione in “Soprintendenza speciale Archeologia, belle arti paesaggio di Roma”, ufficio dirigenziale di livello generale; con l’art. 2, che integra con un nuovo art. 4-bis il predetto d. m. 23 gennaio 2016, ha conferito alla ridisegnata Soprintendenza speciale l’autonomia scientifica, finanziaria, contabile e organizzativa ai sensi dell’art. 30 del d.p.c.m. n. 171/2014, ne ha modificato l’ambito di competenza territoriale assegnando ad essa l’intero territorio del Comune di Roma nel quale esercita le funzioni delle Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio di cui all’art. 1, comma 2, del predetto d. m. 23 gennaio 2016 (che attualmente svolge solo nel territorio del Comune di Roma compreso entro le mura Aureliane), nonché assegnando ad essa il 30% degli introiti complessivi annui del Parco archeologico del Colosseo prodotti da biglietti di ingresso e, introducendo un nuovo art. 5-bis al predetto decreto, ha stabilito i confini, le assegnazioni di luoghi della cultura e immobili e le funzioni del nuovo Parco archeologico del Colosseo, mentre infine all’art. 5, comma 3, modificando l’Allegato 2 del ridetto decreto, ha soppresso l’attuale Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per il Comune di Roma, ufficio dirigenziale non generale, (che ha la competenza sul territorio comunale di Roma al di fuori delle mura Aureliane).
Si espone rispettosamente quanto segue:
Sul piano dell’opportunità, è da rilevare che il provvedimento è altamente arbitrario, inopportuno e controproducente per il buon andamento della tutela, valorizzazione e gestione dei beni culturali nel territorio romano.
A pochi mesi di distanza dall’avvio dell’attività dei nuovi istituti romani creati con i d.m. del 23 gennaio 2016, n. 43 (Modifiche al DM 23.12.2014 sui Musei) e n. 44 (Riorganizzazione del MiBACT), a loro volta intervenuti dopo appena un anno dall’attuazione della riforma operata con il d.p.c.m. n. 171/2014 la quale aveva creato 20 musei e luoghi autonomi e 17 ‘poli museali regionali’ scorporando tutti i musei dalle Soprintendenze, a loro volta ridotte in numero e riordinate nelle competenze, l’apparato periferico così profondamente rimaneggiato non si era ancora assestato nel nuovo più complesso e problematico assetto funzionale (restano da assegnare ancora uffici, laboratori, archivi e biblioteche delle ex soprintendenze di settore, da portare a termine i processi di mobilità e di assegnazione definitiva del personale che nel transitorio hanno risentito di provvedimenti isolati disomogenei e presentano ancora notevoli squilibri e carenze) si interviene, senza alcuna necessità, né adeguata motivazione, con una ulteriore radicale modifica di distribuzione di competenze funzionali e territoriali e di tipologie organizzative che provocherà, data l’attuale situazione critica di tutto il complesso romano, una rinnovata non breve fase di incertezza e confusione prima di veder definito un nuovo equilibrio organizzativo funzionale. Il cambiamento, dopo pochi mesi, dell’impostazione organizzativa del complesso di beni culturali romano – indubbiamente il più ampio e importante d’Italia – rispetto a quella che ne ha ispirato nel 2016 la ulteriore riforma (dopo quella del 2014-15) appare del tutto ingiustificato (non si vede per quale causa o ragione possano esser cambiati in pochi mesi i motivi della fondamentale valutazione operata con la precente riforma, di mantenere – come dovrebbe essere secondo la unanime opinione degli esperti e delle associazioni del settore – integrata la gestione di tutela e fruizione dell’intero complesso dei beni culturali del sito UNESCO di Roma) e controproducente per gli esposti motivi, nonché quanto meno sintomo di un arbitrario e irresponsabile atteggiamento manipolatorio nei confronti dell’organizzazione del Ministero (e del suo personale), che viene reiteratamente rimaneggiata in funzione di non trasparenti, continuamente mutevoli e obiettivamente ingiustificati scopi politici. Nel merito del provvedimento, non si può considerare in alcun modo opportuna la scelta di scorporare la parte più rilevante della zona archeologica di Roma per creare il Parco archeologico isolando una parte del contesto urbano a cui appartiene (già frammentato dalle precedenti riforme) con una perimetrazione del tutto arbitraria e priva di un’organica base storico-culturale, che si dichiara riferibile all’accordo di coordinamento col Comune delle rispettive aree archeologiche centrali romane del 2015 mai attivato perché rivelatosi del tutto velleitario e inattuabile a causa degli irrisolti (senza appositi strumenti normativi legislativi) problemi posti dalle disomogeneità istituzionali e organizzative delle parti, come è dimostrato dal fatto che al provvedimento in oggetto si è dichiarato nettamente contrario l’assessore alla Cultura del Comune di Roma. Tale coordinamento verrà comunque ora reso più difficile aumentando, come fa il decreto in oggetto, tali disomogeneità (prima le rispettive aree appartenevano a due analoghe soprintendenze territoriali direttamente dipendenti rispettivamente da Stato e Comune e ora da un Parco archeologico autonomo e da una Soprintendenza territoriale comunale).
Per quanto riguarda l’autonomia finanziaria che dovrebbe essere assicurata ai sensi dell’art. 30 del d.p.c.m. n. 171/2014 alla ridisegnata Soprintendenza speciale, si rileva che a questa viene attribuito, per il finanziamento di tutte le attività di conservazione e restauro dell’intero patrimonio archeologico e monumentale che insiste sul territorio del Comune di Roma, il 30% degli introiti netti costituiti dai biglietti di ingresso del Parco Archeologico del Colosseo. E’ di tutta evidenza la palese insufficienza di tale finanziamento per la ridisegnata Soprintendenza speciale – nel territorio di competenza della quale la sottrazione dell’area del Parco del Colosseo viene ampiamente compensata dall’estensione della competenza a tutto il Comune di Roma – la quale, gestendo attualmente anche la consistenza del Parco archeologico del Colosseo, con il 100% dei suoi introiti è in grado a mala pena di far fronte alla conservazione del già immenso patrimonio dei beni culturali esistente entro le mura Aureliane, mentre con il provvedimento in questione verrebbe di fatto a perdere il 70 % circa delle risorse attuali.
Pertanto, in effetti l’operazione effettuata dal provvedimento in questione risulta quella di distogliere risorse finanziarie dal territorio comunale romano (i proventi del Colosseo sono riassegnati alla ridisegnata Soprintendenza speciale solo nella misura del 30%), col rischio di dover sopperire al deficit che interverrà mediante ulteriori risorse gravanti sugli ordinari capitoli di bilancio, in palese stravolgimento della tendenziale autosufficienza a cui dovrebbe mirare l’istituto dell’autonomia finanziaria, che viene così svuotato di significato. Anche tale scelta è stata unanimemente contestata dai massimi esperti del settore e da più ampie voci di dissenso, le cui osservazioni critiche sono state riportate dagli organi di stampa nazionali.
-Ma, oltre che altamente inopportuno e controproducente per il buon andamento della tutela e valorizzazione dei beni culturali nel territorio romano, il provvedimento in questione presenta soprattutto gravi carenze di legittimità.
L’art. 97 Cost. prevede la riserva di legge in materia di organizzazione dei pubblici uffici che – come ha di recente ribadito la Corte costituzionale nella sent. n. 279/2012 -, ha natura relativa ed “impone alla legge la determinazione dei criteri direttivi” ai quali devono attenersi – a pena di illegittimità – i provvedimenti che il governo può adottare in materia. Pertanto, anche il recente processo di ampia ‘delegificazione’ della materia dell’organizzazione dei pubblici uffici incontra il limite invalicabile del principio di riserva di legge, il che significa che solo su specifica autorizzazione legislativa recante precisi criteri e principi direttivi a cui deve attenersi il potere esecutivo può intervenire a disciplinare materie soggette a riserva di legge relativa.
Le modalità con cui il governo può emanare regolamenti e altri provvedimenti amministrativi in tali materie sono state disciplinate dalla l. n. 400/1988, che, in particolare per quanto riguarda l’organizzazione dei Ministeri, ha previsto che (art. 17, comma 4-bis) “l’organizzazione e la disciplina degli uffici dei Ministeri sono determinate, con regolamenti emanati ai sensi del comma 2 (“Con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentito il Consiglio di Stato e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, …per la disciplina delle materie, non coperte da riserva assoluta di legge prevista dalla Costituzione, per le quali le leggi della Repubblica, autorizzando l’esercizio della potestà regolamentare del Governo, determinano le norme generali regolatrici della materia1…”), su proposta del Ministro competente d’intesa con il Presidente del Consiglio dei ministri e con il Ministro del tesoro, … con i contenuti e con l’osservanza dei criteri che seguono… b) individuazione degli uffici di livello dirigenziale generale, centrali e periferici…”.
Tali modalità sono state illegittimamente del tutto disattese, in violazione della l. n. 400/1988 e in palese eccesso di potere, dal Ministro dei beni culturali nell’emanazione del decreto in oggetto, che costituisce palesemente atto amministrativo di “organizzazione e disciplina degli uffici dei Ministeri”.
Si registra peraltro ormai da tempo la frequente adozione di disposizioni legislative che rinviano la disciplina di determinate materie a decreti ministeriali senza alcun espresso riferimento all’adozione della forma regolamentare di cui all’art. 17 della l. n. 400/88 (né ad un’alternativa forma “non regolamentare” da adottare), che costituiscono una ‘tecnica’ inquadrabile nella c.d. “fuga dai regolamenti” da parte del Governo per eludere i vincoli posti dall’art. 17 della l. n. 400/88 alla adozione di questi (acquisizione del parere del Consiglio di Stato e delle Commissioni parlamentari competenti in materia, commi 2 e 4, pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, comma 4, e nel caso dei regolamenti ministeriali, previa comunicazione al Presidente del Consiglio, comma 3).
Ma la deroga alla tipologia di procedimento normativo per l’adozione dei provvedimenti regolamentari di organizzazione degli uffici pubblici prevista dalla l. n. 400/1988 può bensì essere operata (espressamente) da una successiva legge, come talora è avvenuto, in quanto la legge n. 400 non ha rango costituzionale, mentre, in assenza dell’espressa previsione di deroga da parte della legge autorizzataria, un provvedimento amministrativo attuativo. Queste, secondo la sent. Corte cost. n 34/1986, “hanno, tendenzialmente, una funzione delimitativa più stringente rispetto ai «princípi e criteri direttivi»” delle leggi di delega di cui all’art. 76 Cost. deroga da parte della legge autorizzatoria, un provvedimento amministrativo attuativo, che secondo il criterio sostanziale di identificazione delle fonti si atteggia a regolamento di organizzazione di uffici pubblici dirigenziali generali (mentre il decreto ministeriale, che non può avere natura regolamentare, deve limitarsi alla “definizione dei compiti delle unità dirigenziali nell’ambito degli uffici dirigenziali generali”, come previsto dal comma 4-bis dell’art.17 della l. n. 400/1988), non può – quale fonte di rango inferiore – legittimamente intendersi in alcun modo poter derogare alla predetta legge n. 400, per cui, per la sua emanazione, il governo, in mancanza di espressa previsione legislativa contraria, deve pur sempre attenersi obbligatoriamente alle previsioni della vigente l. n. 400/1988. La giurisprudenza e la dottrina tendono infatti a ritenere che, ove la legge faccia rinvio ad un “decreto” del Ministro o del Presidente del Consiglio, a tale espressione vada riconosciuto il significato di “atto” di questi ultimi, con la conseguenza di applicarsi al caso concreto la procedura prevista in generale per i regolamenti di cui all’art. 17 della l. n. 400/88 e di doversi quindi ritenere illegittimo il decreto avente contenuto normativo adottato in violazione di essa2.
Ma l’illegittimità per eccesso di potere del decreto ministeriale in questione si configura anche autonomamente rispetto alla sostanziale violazione delle norme della l. n. 400/1988.
La legge n. 232/2016, all’art. 1, comma 432, ha previsto che “Ai fini della razionalizzazione della spesa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dell’efficientamento delle modalità di bigliettazione degli istituti e luoghi della cultura di rilevante interesse nazionale, le Soprintendenze speciali di cui all’articolo 30, comma 2, lettera a), del regolamento di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, si adeguano, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, agli standard internazionali in materia di musei e luoghi della cultura”.
L’unico criterio direttivo per l’emanazione del decreto ministeriale in questione – oltre ai del tutto generici scopi della “razionalizzazione della spesa” e dell’“efficientamento delle modalità di bigliettazione” (che certo non ha bisogno dell’autorizzazione di una legge per essere attuato), dai quali nessuna indicazione sul concreto contenuto del provvedimento può desumersi – impartito dalla citata disposizione autorizzatoria sarebbe l’“adeguamento agli standard internazionali in materia di musei e luoghi della cultura”. Dal contesto normativo si intende che col termine ‘standard’ non ci si riferisce a un comportamento medio generale che l’amministrazione dovrebbe rilevare di fatto e al quale dovrebbe ispirarsi (in tal caso è presumibile che la legge avrebbe esplicitato tale ipotesi), ma – come usualmente avviene in campo tecnico-giuridico – a un “insieme di norme destinate a uniformare” (vocab. Zanichelli), nel caso, le attività e caratteristiche dei musei. Però la disposizione in parola non fa riferimento ad alcuna norma positiva del nostro ordinamento in materia, né ad alcun testo ufficiale recante “standard internazionali in materia di musei e luoghi della cultura” emanato da un’autorità pubblica internazionale di cui l’Italia faccia parte o a cui aderisca, oppure stabilito da convenzioni internazionali ufficiali sottoscritte dal nostro Paese3. Né sono noti “standard” ufficiali internazionali del genere aventi valore normativo sottoscritti da più Stati esteri o adottati da organismi pubblici internazionali.
Quelli più simili a ‘standard’ del genere noti sono le “Professional guidelines and standards” dell’ICOM (International Council of Museums)4, che però è un’organizzazione professionale privata formata da professionisti museali, a cui possono aderire anche i singoli musei come istituti, che non è costituita da rappresentanze ufficiali delle amministrazioni museali pubbliche degli Stati, per cui i documenti prodotti da tale organizzazione non hanno alcun valore normativo per questi ultimi, ma consistono, per quanto riguarda l’aspetto organizzativo, prevalentemente in indicazioni e consigli tecnici forniti da rispettivi specialisti sulle modalità ottimali (peraltro plurime) di gestione di vari aspetti del patrimonio e delle attività interne ai musei che non hanno, né intendono avere alcun valore di convenzione obbligatoria. Sotto l’aspetto generale organizzativo-istituzionale tali indicazioni sono inoltre del tutto generiche, non prescrivono un unico modello organizzativo (pubblico o privato), prevedendo solo che i musei dispongano di un atto costitutivo e regolamento scritti e di un direttore responsabile5, senza prescrivere alcunché di preciso circa le esatte forme e dimensioni organizzative. Tali indicazioni, oltre a non aver alcun valore giuridico vincolante per lo Stato italiano, non sono nemmeno correttamente applicabili interamente alla nostra realtà, che notoriamente è da sempre organizzata secondo modelli culturali e istituzionali più diffusi e legati al territorio. Tanto meno poi tali indicazioni sono applicabili ai ‘parchi archeologici’ – tipologia di luoghi della cultura più specificamente ed esclusivamente italiana e mediterranea, ben diversa dai musei anche a tenore dell’art. 101 del Codice dei beni culturali – estranea all’ambito dell’ICOM (e sulla quale è appena il caso di ricordare che non esiste alcuno ‘standard internazionale’) e ancor più alla tutela dei beni culturali sul territorio, che è oggetto della nuova disciplina introdotta dal decreto ma non è coperta da alcun criterio o principio direttivo della legge autorizzatoria.
In altri termini, il riferimento del decreto in questione all’adeguamento agli “standard internazionali in materia di musei e luoghi della cultura”, oltre che del tutto generico, è, dal punto di vista normativo, sostanzialmente ‘vuoto’ e pertanto giuridicamente inefficace ai fini della cogente e precisa indicazione delle “norme generali regolatrici della materia”, lasciando all’amministrazione un del tutto indeterminato margine di discrezionalità nella scelta delle concrete misure da realizzare.
La Corte costituzionale, a proposito dell’ipotesi analoga (sotto tale aspetto) di delega legislativa eccessivamente generica e ampia volta al «riordino» di una materia, ha più volte affermato che, “in mancanza di principi e criteri direttivi che giustifichino la riforma della normativa preesistente”, la delega “deve essere intesa in un senso minimale, tale da non consentire, di per sé, l’adozione di norme delegate sostanzialmente innovative rispetto al sistema legislativo (v. la sentenza n. 354 del 1998, richiamata dalle sentenze n. 66 del 2005 e n. 239 del 2003)” (sent. Corte cost. n. 303/2005). In tal senso anche la sent. Corte cost. n. 34/1986 precisava che in tali casi, in ragione del rispetto del il principio della riserva di legge di cui all’art. 97 Cost.6 deve intendersi che “non residui la possibilità di scelte del tutto libere e perciò eventualmente arbitrarie della pubblica amministrazione”.
L’ambito operativo dell’autorizzazione conferita al Ministro dalla legge n. 232/2016, all’art. 1, comma 432, doveva in conclusione letteralmente intendersi limitato a un “adeguamento” tecnico-funzionale e organizzativo del funzionamento e organizzazione, interna alle Soprintendenze, dei musei e luoghi della cultura quali organi di livello sub-generale7 compresi nelle Soprintendenze speciali esistenti; la legge dice infatti che “le Soprintendenze speciali (soggetto) si adeguano agli standard” – e non che “vengono adeguate” (oggetto) e tanto meno ‘riordinate’. Deve pertanto intendersi esclusa dall’autorizzazione la facoltà di introdurre sostanziali innovazioni nel numero, consistenza e competenza territoriale delle Soprintendenze stesse – tanto meno in quanto sono di livello dirigenziale generale – innovazioni che non hanno nulla a che fare con alcuno ‘standard museale’ (che per definizione non riguarda i parchi archeologici) e tanto meno quindi possono da questo esser motivate e giustificate.
Ciò si deduce anche a contrario in base al principio ubi voluit, dixit: quando la legge ha inteso autorizzare il Ministro dei beni culturali a riorganizzare con suo decreto numero, tipo e competenze degli organi del Ministero, anche di livello generale, lo ha detto espressamente, precisando anche che la disposizione si estendeva agli uffici di livello dirigenziale generale.
La legge 28 dicembre 2015, n. 208, articolo 1, comma 327, ha infatti previsto che «con decreto del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo… si provvede…alla riorganizzazione, anche mediante soppressione, fusione o accorpamento, degli uffici dirigenziali, anche di livello generale, del medesimo Ministero».
Pertanto, ad avviso della scrivente O.S., il D.M. in oggetto, è viziato da palese illegittimità per violazione di legge ed eccesso di potere per i motivi esposti.
Altresì ad avviso della scrivente O.S. il DDC 27 maggio 2016 e DDC del 2 agosto 2016 sono in palese violazione di legge e di anticostituzionalità in quanto, gli stessi violano la normativa vigente in materia di “concorso pubblico”.
Il Coordinatore Nazionale FSI USAE Funzioni Centrali – Beni Culturali
Renato Petra
Fonti 1 Queste, secondo la sent. Corte cost. n 34/1986, “hanno, tendenzialmente, una funzione delimitativa più stringente rispetto ai «princípi e criteri direttivi»” delle leggi di delega di cui all’art. 76 Cost. 2 Sent. T.A.R. Lazio, sez. III-ter, 1° aprile 2010, n. 5413 nonché in dottrina: G.U. Rescigno, Il nome proprio degli atti normativi e la legge n. 400 del 1988, in Giur. cost., 1988, 1513, id., Forma e contenuto di regolamento, in Giur. cost., 1993, 1432 ss.; G. Tarli Barbieri, Atti regolamentari ed atti pararegolamentari nel più recente periodo, in Osservatorio sulle fonti, 1998, a c. di U. De Siervo, Torino, 1999, 252. e C. Padula, Considerazioni in tema di fonti statali secondarie atipiche, in Dir. pubb., 2010, 365 ss.9 3 Non si rinviene tale riferimento nemmeno nell’art. 14 del d.l. n. 83/2014, conv. con mod. dalla l. n. 106/2014, richiamato dall’art. 1, comma 432, della l. n. 232/2016. 4 http://icom.museum/professional-standards/standards-guidelines/ 5 Ivi, Running a Museum:A Practical Handbook, p.137. 6 Sull’illegittimità costituzionale di per sé di disposizioni di legge che rinviano direttamente a decreti ministeriali la disciplina di materie riservate alla legge v. E. Albanesi, I decreti del Governo «di natura non regolamentare». Un percorso interpretativo (http://www.gruppodipisa.it/wpcontent/uploads/2011/07/Albanesi.def_.pdf)