Premesso che:

Stefano Rodotà, affermava che l’acqua è un «bene comune» e non può essere considerato né una proprietà privata né proprietà dello Stato. Dunque, un “diritto del cittadino”, oltretutto pagato a caro prezzo. Il giurista, fu anche sostenitore del referendum del 2011 in cui prevalse il sì alla cosiddetta «acqua pubblica». Un risultato che avrebbe dovuto impedire gli investimenti di soggetti privati e bloccare l’ingresso dei capitali privati nella gestione dei servizi idrici.

Il Ministro Madia con appositi decreti, per fortuna parzialmente bloccati dalla Consulta e poi dal Consiglio di Stato, ha di fatto annullato il risultato referendario.  Con il tempo si è creato un sistema di gestione dell’acqua che vede sempre la presenza massiccia di aziende private.

Esistono ancora grandi aziende interamente pubbliche, come ad esempio l’Acquedotto Pugliese, che serve il 7% circa della popolazione italiana, o l’Abc di Napoli. Ma per circa 15 milioni di italiani i «padroni dell’acqua» sono aziende private che operano a livello interregionale e internazionale, spesso sono anche quotate in Borsa, e quando sono teoricamente controllate dagli enti locali che ne posseggono la maggioranza, sono loro a stabilire le strategie e le politiche. Strategie che ovviamente mirano a incrementare utili attraverso l’applicazione del piano tariffario.

Tra questi “padroni dell’acqua” primeggiano certamente le cosiddette «quattro sorelle»: Acea, Hera, Iren e A2a. ovviamente quotati in Borsa, che oggi forniscono acqua a circa 15 milioni di italiani attraverso gli «Ato» che controllano le 64 aree territoriali omogenee in cui è diviso il territorio nazionale.

Aldilà della modalità di gestione “pubblica” o “privata” dell’acqua, in Italia attualmente la situazione è al collasso e gli sprechi sono enormi. Sono aumentate le tariffe, arricchendo i gestori, mentre la qualità del servizio è sotto gli occhi di tutti.

Secondo gli esperti (vedi il Blue Book di Utilitalia), su cento litri di acqua distribuiti ben 39 si perdono per strada. Percentuale che vale anche per Acea, il più grande operatore italiano nel settore che serve 8,5 milioni di abitanti tra Roma, Frosinone e altre aree di Lazio, nonché Toscana, Umbria e Campania. Pur essendo un’azienda pubblica, in quanto il socio di maggioranza è il Comune di Roma con il 51% delle azioni, seguito dalla multinazionale francese Suez con il 23,3% e dall’imprenditore Francesco Gaetano Caltagirone con il 5,006%) è strutturata come un’azienda commerciale e quindi per produrre vantaggi economici. Nel contempo manca la manutenzione: le reti sono vecchissime il 60% di tubi risale a più di 30 anni fa e il 25% a più di 50 anni. Occorrerebbe un intervento strutturale molto costoso (gli esperti parlano di 5 miliardi l’anno invece se ne spendono meno della metà) Nel contempo l’Europa ci applica sanzioni pesanti per la violazione delle regole.

Rischio siccità a Roma, una catastrofe annunciata ma sottovalutata dai gestori della rete idrica

Il “diktat” di Nicola Zingaretti, governatore del Lazio:

lancia l’allarme per la mancanza di acqua nella Capitale e aggiunge che entro7 giorni occorre trovare delle soluzioni al fine di limitare al massimo il disagio per i cittadini. Intanto, ordina alla Acea di sospendere il prelievo dell’acqua dal lago di Bracciano, riserva idrica della Capitale, da venerdì 28 luglio e fino a fine anno. Motivo principale della scelta del governatore, sono le condizioni di deperimento del lago, il cui livello si è abbassato notevolmente negli ultimi tempi con il rischio di una catastrofe ambientale.

 La situazione oggi è all’assurdo.  Sembra di giocare a braccio di ferro

Da una parte l’ordinanza con cui la Regione fissa per venerdì il blocco alla captazione dell’acqua dal Lago di Bracciano. Dall’altra Acea, gestore idrico prepara il piano per la turnazione dell’approvvigionamento della Capitale: si parla di turnazione di 8 ore per 1,5 milioni di romani che vedrebbero interrotte le loro forniture di acqua corrente.

Una vergognosa kermesse politica tra la Regione che oggi suggerisce soluzioni «meno drastiche» rispetto alla turnazione; Acea che fa l’offesa in quanto considera l’ordinanza un “diktat” (tanto che sta avviando le procedure per l’impugnazione) e il Campidoglio che, se pur proprietario del 51% di Acea, resta in silenzio.

Unico atto deciso dalla Raggi è stato la chiusura delle fontanelle. «Chiudere i nasoni aiuterebbe…», dice il ministro Gianluca Galletti come se l’ordinanza della sindaca non avesse avuto ancora effetto.

Fumata nera anche dal Palazzo Senatorio dopo il vertice Regione – Acea – Comune.  Infatti il risultato è stato l’istituzione di una “cabina di regia” che studierà le soluzioni possibili.

Intanto nei cittadini si crea panico e disorientamento ma ancor peggio, per quanto possibile, se si pensa agli ospedali, alle attività di ristorazione, agli anziani, ai bambini, etc praticamente un’intera città in ginocchio con il rischio anche di malattie.

A causa di questa situazione 20 comuni della provincia di Roma subiscono già adesso razionamenti dell’acqua per alcune ore a settimana.

Questa soluzione dovrebbe essere utilizzata soltanto fino ai primi giorni di agosto, quando il consumo di acqua nella capitale dovrebbe ridursi grazie al fatto che molti romani andranno in ferie?

Sono moltissime le critiche  nei confronti di Acea – una società municipalizzata i cui dirigenti sono stati recentemente nominati dal sindaco di Roma, Virginia Raggi  per non essere intervenuta, negli ultimi anni,  efficacemente per sanare la disastrosa situazione degli impianti di distribuzione dell’acqua a Roma, che perdono oltre il 40 per cento di quella che trasportano, per i furti di acqua nelle case popolari, per gli allacci abusivi, etc. Uno dei più critici è stato il direttore del Foglio Claudio Cerasa, secondo cui “ l’intera vicenda è una “grande bufala” montata dai vertici della società. La quantità di acqua prelevata dal lago di Bracciano rappresenta, dice Acea, l’8 per cento del fabbisogno della Capitale. Roma ha 2.800.000 abitanti. L’otto per cento significa che l’acqua di Bracciano copre il fabbisogno di 224 mila romani. Non è chiaro, quindi, perché l’interruzione di questa fornitura dovrebbe portare al razionamento dell’acqua per metà della popolazione di Roma, ossia 1,5 milioni di persone.”

Secondo alcuni sindaci dell’area di Bracciano, la situazione in cui si trova attualmente il lago è in parte responsabilità proprio di Acea e del sindaco di Roma, Virginia Raggi. La situazione del lago era da prendere in considerazione già da tempo, dicono, e al tavolo di novembre se si fossero decisi i provvedimenti giusti, magari si sarebbero salvati quei 40 centimetri che avrebbero fatto la differenza. Inoltre aggiungono “Acea, a volte, è venuta ai tavoli anche con arroganza. La sindaca Raggi non si è mai presentata”.

Un piano più tempestivo non avrebbe annunciato questa catastrofe.

Il Coordinatore Nazionale Funzioni Centrali
Paola Saraceni
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