Al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella; al Presidente del Consiglio Paolo Gentiloni al Ministro dell’Interno Marco Minniti; al Ministro della Giustizia Andrea Orlando

Signor Presidente del Consiglio,

Signori Ministri,

i recenti gravissimi fatti verificatisi nella provincia e nella città di Macerata stanno caratterizzando il dibattito politico che, all’interno di una campagna elettorale dai toni sempre più accesi, tende talvolta a strumentalizzare gli eventi e i loro protagonisti, vittime e carnefici.

A questa dinamica non è certamente estranea l’azione dei media che troppo spesso trascurano i fatti e il racconto degli stessi per lasciare spazio ad opinioni e pareri, spesso tranchant, quasi a voler anticipare il contenuto di quelle che saranno le future sentenze.

Dal nostro punto di vista tenteremo, per quanto ci sia possibile, una lettura il più equilibrata possibile, volta a ricercare le cause di quanto è successo per capire se e come sarebbe stato possibile prevenire quanto accaduto, se ci siano state delle lacune, dei vuoti, non per cercare dei colpevoli ad ogni costo, bensì per tentare di delineare dei percorsi diversi nel ruolo delle istituzioni, dello Stato, nella responsabilità dei singoli.

Partiamo da una domanda: come mai si sono incontrati Pamela, Oseghale, e Desmond, era destino o i loro percorsi si sono incrociati anche se non avrebbero dovuto?

La ragazza era in una condizione di grande fragilità e debolezza: tossicodipendente, era ospitata da una comunità di recupero della zona, dalla quale si era allontanata, rimanendo da sola, facile preda di spacciatori e malintenzionati che forse lei stessa ha cercato, vittima della sua dipendenza.

I due nigeriani (sono quelli che, al momento, risultano coinvolti nella vicenda, con delle responsabilità ancora tutte da definire da parte degli inquirenti) erano clandestini o avevano il permesso di risiedere in Italia? Avevano precedenti penali generici o specifici per droga o violenza sessuale? Dovevano essere espulsi dal territorio nazionale?

Le indagini in corso chiariranno (si spera) questi aspetti, ma una cosa è certa: qualcosa non ha funzionato, lo Stato non è riuscito a tutelare una sua figlia, particolarmente vulnerabile, così come non è riuscito a garantire la sicurezza di altri innocenti, quei cittadini di colore che a Macerata sono stati fatti oggetto di un attentato da parte di uno squilibrato, e che solo per caso non sono rimasti uccisi nel raid del Traini che, nel suo folle delirio, ha affermato di aver voluto vendicare la morte della povera Pamela, uccidendo cittadini extracomunitari a caso.

Follia? Ignoranza? Razzismo? L’episodio rappresenta un pericoloso precedente, sul quale si potrebbe innescare una sorta di effetto domino, laddove trovasse un terreno fertile: ma questo terreno, purtroppo, noi lo scorgiamo da tempo, ed è quello di una insoddisfazione diffusa della gente, di una ostilità crescente di fronte a problemi enormi che lo Stato non riesce a risolvere.

Così, l’arrivo massiccio di centinaia di migliaia di migranti (ricordiamo che, finché sono stati in vigore gli accordi di Dublino, l’Italia ha accolto oltre l’80% del totale del flusso dei migranti verso l’Europa), ha scatenato, soprattutto tra le fasce più deboli della popolazione, odio e risentimento, acuiti dal vedere questa gente in strada, senza essere impiegata in alcuna attività produttiva o comunque socialmente utile, ospitata gratuitamente in case o alberghi, soluzioni queste che alcuni dei nostri concittadini non possono vantare.

Si è parlato di guerra tra i poveri, forse è così, ma certamente in questo modo non si fa neanche l’interesse di questi profughi che, se non vengono inseriti nel tessuto sociale, rischiano di essere assoldati dalla criminalità organizzata e di diventarne i nuovi soldati, come è già successo.

Ecco perché c’è bisogno dello Stato, di più Stato, la cui sola presenza, forte  e autorevole, può garantire il rispetto delle regole e la prevenzione del crimine e dell’illegalità.

La riorganizzazione dello Stato diventa allora il passaggio cruciale, la madre di tutte le riforme, perché troppi sono i settori che non funzionano, dalla sicurezza alla giustizia; occorre intervenire incrementando, in qualità e quantità,  gli organici dei settori più in sofferenza, attraverso l’assunzione di migliaia di giovani, preparati e  motivati, da inserire nei posti chiave.

Ma la riorganizzazione dovrà essere anche di qualità, nel senso di prevedere percorsi chiari verso la dirigenza, che deve provenire dal basso, dall’esperienza interna (e non dall’alto della politica), da quell’area quadri all’interno della quale collocare i direttori, quei funzionari cioè che sono il vero motore della amministrazione pubblica, quelli che attuano materialmente le disposizioni dei dirigenti.

Al riguardo, vogliamo evidenziare l’esigenza di abolire la doppia dirigenza all’interno degli uffici giudiziari, sollevando i magistrati da questa incombenza per restituire loro, in termini di esclusività, la funzione giurisdizionale, non è pensabile con le carenze di organico e la mole di arretrato esistenti, che gli stessi debbano essere assorbiti anche dalla dirigenza degli uffici, che va invece lasciata ai direttori e dirigenti della carriera amministrativa.

Dobbiamo partire da qui, da una profonda riforma dello Stato, che deve passare per la riattribuzione allo stesso delle sue prerogative, dei suoi poteri, anche forti quando necessario, per non decretarne la morte definitiva: solo così l’Italia potrà salvarsi, e potrà  restituire ai nostri figli e nipoti la speranza nel futuro.

Il Coordinatore Nazionale
Paola Saraceni
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