Al Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede e, p.c. Al Ministro dell’Interno Matteo Salvini
La tragica vicenda di Stefano Leo, il giovane ucciso a Torino mentre correva sul lungofiume, ha dapprima lasciato tutti perplessi per la apparente mancanza di un movente plausibile; successivamente ha lasciato sgomenti, quando l’assassino reo confesso ha spiegato che lo avrebbe ucciso perché invidioso della sua apparente felicità (!); infine, quando il Presidente della Corte d’Appello di Torino Edoardo Barelli Innocenti ha pubblicamente dichiarato che l’assassino avrebbe dovuto essere in carcere, allora la tragedia ha assunto i toni dell’assurdo.
Il Magistrato ha infatti spiegato che Said Mechaquat (l’assassino) benché condannato a un anno e mezzo di carcere in via definitiva, era ancora a piede libero a causa della mancata trasmissione della sentenza dalla Corte d’Appello alla Procura della Repubblica, che avrebbe dovuto emettere il relativo ordine di carcerazione.
Il Presidente ha dichiarato che “…la massa di lavoro da smaltire è tale che il Ministero della Giustizia dovrebbe provvedere ad assumere cancellieri e assistenti perché è quello di cui abbiamo bisogno…”.
L’errore è stato dovuto quindi non certo a negligenza o imperizia, ma ai troppi carichi di lavoro – a Torino risultano circa 10mila sentenze da eseguire – e per il poco personale a disposizione: ancor più amara è stata la conclusione del Presidente, che ha chiosato «Con le attuali forze non posso garantire che questo non succeda mai più”.
Tutto questo, se ci lascia sgomenti, non ci sorprende affatto: da anni stiamo chiedendo con forza di adeguare gli organici degli uffici giudiziari alle crescenti esigenze del sistema, tenendo conto dell’accumularsi di circa 5 milioni di fascicoli arretrati (tra civile e penale).
La situazione così drammatica, che si trascina da anni, genera sconforto e senso di impotenza, prima ancora che nei cittadini italiani, fra le forze di polizia e il personale che opera negli uffici giudiziari: le forze di polizia, perché vedono i loro sforzi quotidiani, fra cui la cattura di soggetti anche estremamente pericolosi, vanificati dall’inefficienza ormai cronica della macchina giudiziaria, che li rimette in libertà per la mancanza di un timbro o un ritardo nella notifica; il personale degli uffici giudiziari, perché si trova a gestire in cronica emergenza di risorse e di organico, situazioni così gravi e a rischio sicurezza per la comunità, ben consapevoli che, anche quando non succede niente di grave, è solo per mero caso fortuito e non per l’efficienza di un sistema che da anni è abbandonato a se stesso.
Dobbiamo perciò constatare, con grande amarezza, che poco o nulla si è visto del cambiamento promesso da questo Governo, mentre la giustizia si dibatte ancora nei suoi mali pluriennali, senza che sia possibile intravedere all’orizzonte una ipotesi di soluzioni concrete. Ne è una prova anche l’evento in corso in questi giorni a Roma, il Salone della Giustizia, che celebra i suoi primi 10 anni1 e il cui programma è illuminante sugli orientamenti degli addetti interessati al settore (avvocati e magistrati in primis, ma anche numerose ditte private di consistente peso economico): a parte la quasi totale assenza di rappresentanti istituzionali, colpisce l’assoluta assenza di contenuti sulle reali criticità del sistema. In un momento in cui emerge chiaramente come la soluzione per migliorare il nostro Paese sia “più Stato” (cioè investire di più sulle risorse interne, esistenti o da assumere), pare che qualcuno stia guardando in direzione opposta, verso un’amministrazione governata da interventi e da operatori esterni, nonostante tale sistema abbia già mostrato la corda da anni.
Vorremmo evidenziare, ancora una volta, che questo Governo del Cambiamento continua in realtà, come tutti quelli che lo hanno preceduto, ad ignorare il fondamentale contributo del personale amministrativo degli Uffici Giudiziari e delle forze di polizia nel funzionamento della Giustizia: che non è fatta solo di Avvocati e Magistrati, ma anche e soprattutto di personale operativo ed esperto, senza il cui contributo anche le decisioni migliori sono destinate a restare prive di efficacia, come dimostra la mancata carcerazione di Said Mechaquat.
Analogamente, occorre intervenire all’interno delle carceri, dove il crescere del numero dei ristretti rende il lavoro degli operatori (della polizia penitenziaria e dell’area trattamentale) sempre più arduo, laddove anche qui necessitano massicce assunzioni di personale da coniugare con l’espulsione dei circa 20mila detenuti stranieri che devono essere mandati ad espiare la pena nei loro Paesi di origine: in questo senso vanno meglio definiti gli accordi con detti Paesi (Romania, Albania, Marocco, Tunisia, Nigeria,…).
Vogliamo evidenziare che, specialmente per quanto riguarda gli uffici giudiziari, le carenze in termini quantitativi accumulatesi negli anni sono, su tutti i profili, in termini di migliaia e che la mutata realtà operativa richiede interventi di radicale riorganizzazione delle attività interne e revisione dei profili professionali, in particolare di quelli apicali. Si ribadisce in proposito la necessità che i magistrati non vengano distolti dalla loro funzione attraverso l’attribuzione di ulteriori incarichi, ivi compresa la direzione degli uffici, che deve rimanere – appunto – in capo ai dirigenti.
Il tempo della pazienza è scaduto Signor Ministro, ma non ci pare che la strada intrapresa come prioritaria per ulteriori riforme procedurali porti a risultati concreti: perché nessuna riforma potrà mai cambiare davvero le cose senza l’apporto – in termini quantitativi ma non solo – dei lavoratori del comparto giustizia e sicurezza!
Noi siamo pronti a fare la nostra parte, per proporre soluzioni concrete e di efficacia immediata: si trovi il coraggio di investire davvero sull’efficienza dei sistemi informatici, sulla formazione, sull’aggiornamento e sulla valorizzazione del personale, oggi completamente demotivato e, ultimo ma non ultimo, si assumano nuove risorse, restituendo alla giustizia la sua efficienza e al Paese la sua dignità.
Cordialità.
Il Coordinatore Nazionale
Paola Saraceni
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